“Volevo parlare solo con Falcone, per distruggere i contatti tra Cosa nostra e le istituzioni. A Palermo c’erano persone in mano alla mafia, come Contrada e il giudice Signorino. E a Roma il giudice Carnevale ed altri”. Lo ha detto il pentito Gaspare Mutolo, nel corso della sua audizione al processo sulla trattativa Stato-mafia, in corso nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.
Il pentito, collegato in videoconferenza, ha spiegato rispondendo alle domande del pm Roberto Tartaglia: “Ho deciso di collaborare dopo la scomparsa dei familiari di Marino Mannoia, e dell’uccisione della moglie di Bontade. Non mi riconoscevo più in una mafia che uccideva anche le donne. Per cui incontrai Giovanni Falcone nel dicembre del ’91, e gli dissi del mio proposito”.
“Il primo interrogatorio, il primo luglio del 1992, con il giudice Borsellino fu interrotto perché fu chiamato al telefono e mi disse: fermiamoci perché devo andare al ministero. Mi ha chiamato il ministro. E quando tornò dall’incontro con Mancino, dove trovò pure Contrada, era agitato e arrabbiato”.
“Prima di verbalizzare – racconta ancora Mutolo – parlando solo con lui e prima che fossimo interrotti, ci appartammo e gli dissi che volevo smantellare sia la forza militare di cosa nostra che i contatti con le istituzioni e fare un po’ di pulizia anche nel suo ufficio, facendogli il nome di Signorino, di un alto funzionario delle forze dell’ordine e di altri magistrati”. Erano seduti uno di fronte all’altro – era presente anche Vittorio Aliquo’, e Borsellino apparve contrariato: “Mi parve dispiaciuto di interrompere il colloquio – dice Mutolo – anche disturbato dalla telefonata mentre era ad un incontro segreto. Si scuso’, mi disse: mi ha chiamato il ministro, devo andare”.
In quella giornata infatti si insediava il neo ministro dell’Interno Nicola Mancino. Borsellino rientrò dopo circa un’ora e mezza. “Era molto arrabbiato, agitato. Tanto che gli feci notare che stava fumando due sigarette contemporaneamente. Mi disse che dal ministro incontro’ Parisi e Contrada. Mi riferi’ che Contrada mi salutava e – ha aggiunto – nonostante la segretezza dell’incontro – Contrada disse a Borsellino che era disposizione per qualunque cosa avesse bisogno”.
“Lo sentii gridare ‘ma sono pazzi? Che vogliono fare? – ha detto – pensava fosse assurdo accettare queste cose”. “Si era sentito vociferare – ha proseguito – che c’erano personaggi delle istituzioni, carabinieri, servizi segreti, ma anche preti e politici, che stavano cercando di ampliare il discorso dei collaboratori. Da quello che capii c’erano mafiosi, ma anche camorristi, che erano disposti a dissociarsi dall’organizzazione per avere in cambio provvedimenti simili all’amnistia”. “Quando Borsellino urlo’ ‘sono pazzi’ – ha spiegato Mutolo – si riferiva ai personaggi delle istituzioni che avevano l’intenzione di accettare quell’idea”. Il pentito non ha saputo dire chi fossero i carabinieri coinvolti nel progetto, ha accennato al generale Mario Mori, tra gli imputati del processo, ma le sue dichiarazioni differiscono con quanto detto in altri interrogatori che gli sono stati contestati.
“Mi sono autoaccusato di omicidi che non ho mai commesso. Io avevo il compito di indurre i mafiosi a collaborare. Stavo svolgendo un lavoro dentro il carcere. La strategia era di controllare i mafiosi, di farli finire in galera e di indurli a collaborare anche dopo anni”. La rivelazione è stata sollecitata dalle domande dell’avvocato Giuseppe Di Peri, legale dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, tra gli imputati, che ha cosi’ messo in dubbio l’attendibilita’ del pentito. “Mi sono caricato, ad esempio, gli omicidi di Di Maggio e di Inzerillo”, ha ammesso Mutolo.